Comunicazione, emozioni e tecnologia

La struttura neurologica dell’uomo si è evoluta e costruita nei secoli sulle interazioni faccia-a-faccia, non sulle email, sulle chat, o in generale su schermi e dispositivi digitali.

Quando guardiamo negli occhi una persona, stiamo compiendo un atto comunicativo che porta con sé migliaia di messaggi. Quando abbiamo un contatto diretto con una persona siamo spesso in grado di riconoscere gesti, posture, toni della voce e altri messaggi che ci informano e che, a loro volta, ci fanno gestire al meglio l’interazione. Online invece nessuno di questi feedback può essere ricevuto. 

A causa della mancanza di feedback ha luogo un fenomeno definito “cyber disinibizione”. Quando leggiamo una mail, per esempio, il nostro cervello non è in grado di ricevere messaggi sociali accessori al testo e, quindi, non è in grado di inviare ai circuiti emotivi le istruzioni necessarie per interagire in modo adeguato a tale messaggio. 

Uno degli aspetti più gravi della cyber disinibizione è il dirottamento emotivo: le nostre emozioni, private di un confronto visivo, tendono a portare fuori controllo le nostre capacità comprensive e comunicative, perchè ciò che leggiamo può essere distorto dalle nostre percezioni parziali, da ciò che è il nostro stato emotivo momentaneo, da preoccupazioni e problemi di varia natura che stiamo vivendo che possono deviare dal significato originale del messaggio. 

Questo aspetto è ancora più pericoloso quando rispondiamo ad un messaggio in preda a questo “stato confusionale”. Il dirottamento emotivo, unito alla disinibizione data da uno schermo, un monitor o comunque da un filtro che impedisce il confronto diretto con l’altra persona, porta a perdere la consapevolezza e l’empatia. 

L’utilizzo della tecnologia come forma di comunicazione in quasi tutti gli ambiti della nostra vita, compreso anche l’educazione scolastica, rischia di compromettere l’intelligenza emotiva delle persone. Relazionarsi per troppo tempo con uno schermo e non con le persone fa perdere le capacità umane di comprensione di sé stessi, del proprio mondo interiore, di sviluppare empatia e compassione, una forma di educazione sociale che si può apprendere solo vivendo. 

Un altro fenomeno sociale correlato alla digitalizzazione della vita quotidiana è il cosiddetto FOMO (Fear Of Missing Out) che tradotto significa letteralmente “paura di essere esclusi” e si lega soprattutto alla sensazione che gli altri conducano una vita più appagante della nostra. 

Chi passa molto tempo sui social – vedendo soprattutto le fotografie pubblicate dagli altri – si può trovare a pensare che tutti stiano conducendo una vita più bella, più piena o più eccitante della nostra, portando a un senso di insoddisfazione per la nostra vita attuale e facendoci credere che ci manchino le esperienze che invece tutti gli altri stanno vivendo, con la conseguenza di sentirci esclusi, in difetto, frustrati. La paura di perdersi può essere pericolosa e coinvolge le persone di tutte le età. A parte l’aumento dei sentimenti di infelicità, la paura di perdersi può portare a un maggiore coinvolgimento in comportamenti non salutari come disturbi del comportamento alimentare – legati a un ideale di bellezza irrealistico -, l’abuso di sostanze, alcool o farmaci per combattere l’ansia e la depressione.

Invece di concentrarci su ciò che manca, è importante provare a mettere in evidenza ciò che si ha già e impegnarsi in attività che migliorino la nostra autostima, cercando di far sentire più piena e soddisfacente la nostra vita. Recuperare la comunicazione umana è fondamentale, perchè grazie al contatto empatico possiamo migliorare le nostre relazioni e la qualità della nostra vita.

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