Lavoro, stress, salute mentale

Il termine stress venne introdotto per la prima volta in fisiologia da Walter Bradford Cannon nel 1935, fu poi il medico Hans Selye nell’anno successivo, a definire la relativa sindrome.

Ma cos’è di fatto lo stress? 

In fisica lo stress è il fenomeno di alterazione della tensione interna di un corpo, causata da forze e sollecitazioni che ne causano la deformazione. In biologia è una reazione che si manifesta quando una persona percepisce uno squilibrio tra le sollecitazioni ricevute e le risorse a disposizione. 

Il termine stress deriva dal latino strictus, “ stretto” e oggigiorno viene utilizzato nel linguaggio comune per indicare una condizione di disagio, tensione, affaticamento psicologico. 

Di per sé lo stress non sarebbe una condizione sfavorevole in assoluto. Si tratta infatti di una risposta adattiva che si innesca per predisporre l’individuo ad affrontare adeguatamente l’evento che ha di fronte. Quello che fa la differenza è la percezione che si ha dell’evento, che può essere considerato negativo o potenzialmente pericoloso per qualcuno, oppure  generare addirittura una reazione positiva per altri.

Selye infatti identificò due diversi tipi di stress: 

  1. Eustress (stress positivo) 
  2. Distress (stress negativo) 

Lo stress positivo è indispensabile alla vita e si manifesta come stimolazioni ambientali positive – che inducono un disequilibrio – ma che innescano una reazione fisiologica che porta a entusiasmo e propositività, incrementando così lo stato di salute generale della persona 

Lo stress negativo invece, origina da tutte quelle condizioni – che provocano un disequilibrio – che se molto intenso o protratto nel tempo, è in grado di alterare negativamente la condizione generale di salute provocando anche gravi conseguenze. 

L’OMS ha definito lo stress il male del secolo, una vera e propria epidemia. Si tratta infatti di un fenomeno tipico della società moderna, soprattutto di quella occidentale e delle grandi metropoli. 

Oltre ad un ritmo di vita frenetico, che richiede di essere sempre più multitasking e di raggiungere nuovi obiettivi continuamente, si contano anche gli eventi della vita – prevedibili e imprevedibili – che richiedono necessariamente una reazione, una decisione, un cambiamento e che risultano quindi particolarmente stressanti per la maggior parte delle persone. 

Il lavoro rimane comunque uno dei fattori che incide in modo preoccupante sui livelli di stress e sullo stato di salute mentale generale delle persone, portando spesso al cosiddetto burnout, una sindrome definita dall’OMS nel 2019 come “fenomeno occupazionale” ma che ad oggi non è ancora riconosciuta come una condizione medica. 

Il burnout è una sindrome legata allo stress lavoro-correlato, che porta a un progressivo esaurimento delle risorse psico-fisiche di una persona, accompagnate da sintomi psicologici negativi che possono associarsi anche a problematiche fisiche da lievi a gravi. Secondo il report World Mental Health dell’OMS, con focus sul benessere mentale globale, nel 2019 quasi un miliardo di persone presentava un disturbo mentale. E i numeri, con la pandemia, non sono migliorati.

L’avvento della pandemia Covid-19, ha spinto addirittura l’OMS a codificare una nuova forma di affaticamento che ha definito “Pandemic Fatigue” (stress da pandemia) una vera e propria sindrome comportamentale causata dall’emergenza. 

Lo stress da pandemia è una condizione completamente nuova rispetto a quanto era noto nella pratica clinica e nelle classificazioni dei disturbi mentali, perchè è causa di uno stress perdurante e di una miscela di stressors non convenzionale che “non colpisce solo il presente ma dissesta il futuro” e porta con sé anche risvolti angoscianti, come l’incertezza del lavoro, la solitudine, la paura del futuro, una sensazione costante di attesa, di essere in un limbo. 

La European Agency for Safety and Health at Work ha condotto un’indagine nella primavera del 2022 su: “Sicurezza e salute sul lavoro nei luoghi di lavoro post-pandemia” riportando dei dati molto significativi.

Su un campione rappresentativo di oltre 27.000 lavoratori impiegati nei paesi dell’Unione Europea:

  • il 38% ha chiesto sostegno psicologico o di un counselor
  • il 44% sostiene che il loro stress lavorativo è aumentato dopo la pandemia Covid-19 
  • il 50% sostiene che rivelare una condizione di disagio mentale avrebbe una ripercussione negativa sulla propria carriera 
  • il 59% sostiene che farebbe sentire a proprio agio poter parlare con il datore di lavoro o con i superiori del proprio stato di salute mentale 

Nel World Mental Health report: Transforming mental health for all è riportato che:

Impegnarsi per la salute mentale è un investimento per una vita e un futuro migliori per tutti. Ci sono tre motivi principali per cui investire nella salute mentale: 

  • sanità pubblica
  • diritti umani
  • sviluppo socio-economico

“Investire nella salute mentale per tutti porta un progresso nella salute pubblica. Può ridurre notevolmente la sofferenza e migliorare la salute, la qualità della vita, il funzionamento e l’aspettativa di vita delle persone con problemi di salute mentale. Occorre investire nella salute mentale per fermare le violazioni dei diritti umani. In tutto il mondo, persone con problemi di salute mentale sono frequentemente escluse dalla vita comunitaria e vedono negati i diritti essenziali. Investire nella salute mentale può consentire un miglioramento dei servizi sociali e uno sviluppo economico. 

Una cattiva salute mentale frena lo sviluppo riducendo la produttività, porta a relazioni sociali tese, incrementa situazioni di povertà e svantaggio per le persone. Al contrario, quando le persone sono mentalmente in salute e vivono in ambienti favorevoli, possono imparare e lavorare bene e contribuire alle loro comunità, a beneficio di tutti.”

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