RUFFO TITTA “Un coro di baritoni” (G. Masini)

Per scrivere la storia dell’uomo e dell’artista occorrerebbero molte molte pagine: mi limiterò quindi ad uno scritto conciso per poter proseguire la rubrica con un metodo paritario.

Nato a Pisa il 9 giugno 1877, m. a Firenze il 6 luglio 1953. Studiò privatamente con S. Sparapani, successivamente a Milano con il baritono L. Casini. Debuttò con successo al Costanzi di Roma nel 1898 in Lohengrin (l’Araldo). Nonostante la concorrenza di baritoni di grande fama, nel 1899 al teatro Carlo Felice di Genova interpretò Traviata e Rigoletto; al Regio di Parma il Trovatore; nel 1900 a Santiago con il debutto de l’Africana e Otello; nel 1902 all’Opera di Buenos Aires ebbe uno straordinario successo nello Zazà di Leoncavallo e l’anno dopo al Covent Garden cantò Il Barbiere e Lucia (rompendo il contratto con la Melba).

Debutto’ alla Scala con Rigoletto, Germania, e Griselda di Massenet, riscuotendo un positivo successo. Ma nel 1904 al Teatro Lirico di Milano la sua celebrità fu trionfale nello Zazà: dopo queste esibizioni arrivò la scrittura dal Conservatorio di Pietroburgo per Linda di Chamounix. Nel 1907 al San Carlo di Lisbona, affrontò per la prima volta l’Amleto di Thomas, che divenne una delle sue opere preferite. Altri importanti teatri lo videro protagonista: in Spagna, a Montecarlo, in Sudamerica, a Chicago dove nel 1920 interpretò la prima di Edipo re di Leoncavallo. Dal 1921 al 1929 fu al Metropolitan di New York ed altri importanti teatri del Nord America; negli stessi anni anche a Buenos Aires, dove nel 1931 ebbero luogo le sue ultime apparizioni in teatro con Amleto e Tosca.

Per ragioni politiche dopo l’avvento del fascismo, fu assente dai palcoscenici italiani (era cognato di G. Matteotti). Ritiratosi dalle scene si stabilì a Firenze. Nella sua lunga carriera artistica, ebbe in repertorio 55 opere e 15 studiate ma non rappresentate. L’interprete, benché non ignaro del gioco dei chiaroscuri e delle sfumature, predilesse le tinte forti e accese, il linguaggio incisivo e mordente, lo slancio, l’esuberanza, l’aggressività furono il suo tratto caratteristico con il quale si impose mettendo fine a quella tendenza ad ammorbidire e ingentilire i personaggi che fu propria dei baritoni della “belle époque” E. Gara.

In uno scritto di G.Lauri Volpi usò queste parole: “basta udirlo nel Monologo dell’Amleto, dove non soltanto sfoggia note superbe, ma sa scavare nella profondità dello spirito, declamando La vita è breve !  La morte vien !…”. In un altro passo dello stesso: scritto: “…eseguimmo insieme “Chenier” con il complesso del Metropolitan a Filadelfia il 14-12-1926 con quella incisività verbale tutta toscana, con quell’ampio respiro avvolgente, nel modulare: “fare del mondo un panteon…” egli trascinò il pubblico all’apice dell’entusiasmo. Un “Gerard” indimenticabile ! Gli dissi in treno, nel tornare a New York”. Infine i grandi musicisti, Puccini, Giordano, Cilea, Leoncavallo, Massenet, Franchetti, scrissero nei suoi confronti attestati di stima e ammirazione. Incise numerosi dischi 78 giri, cilindri Pathé, acustici H.M.V, Victor, elettrici Victor. Sotto ascolterete tre brani:

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